Dopo un primo annuncio procrastinato, da Poste Italiane arriva nuova comunicazione che dal giorno 6 Febbraio l’ufficio postale …
Per la rubrica “L’angolo dei lettori” riceviamo e pubblichiamo l’approfondimento inviato da Angela Di Brino:
Mai come in questo momento storico di eccezionale emergenza, si assiste allo scontro ideologico e sostanziale tra due capisaldi dell’ordinamento democratico: diritto alla privacy e tutela della salute pubblica, due valori presidiati sia dall’ordinamento interno che da quello sovranazionale ed internazionale. Fin dove si estende la tutela del primo e dove si arresta la difesa del secondo? Per cercare di trovare una risposta è opportuno fare un confronto.
Pur in mancanza di un’espressa previsione all’interno della Carta fondamentale, l’individuazione del fondamento costituzionale del diritto alla privacy, ovvero, il diritto a tenere segreti aspetti, comportamenti, atti, relativi alla sfera intima della persona, impedendo che tali informazioni vengano divulgate senza l’autorizzazione del soggetto interessato, si rinviene agevolmente tra i diritti fondamentali della persona, più precisamente negli artt. 2, 3, 13, 14, 15 e 21 Cost.
Quanto alla disciplina ordinaria, il riferimento è sicuramente al d. lgs n. 196 del 2003, “Codice in materia di Protezione dei dati personali”, meglio noto come il codice della privacy. Un notevole contributo in materia, si è avuto dalla giurisprudenza: le origini del diritto di cui si discute, difatti, (seppur in ritardo rispetto ad altri ordinamenti), risalgono alla metà del secolo scorso, quando nelle aule dei tribunali viene affrontato per la prima volta il problema della tutela della riservatezza ed affermato il divieto di qualsiasi ingerenza estranea nella sfera della vita privata della persona e di qualsiasi indiscrezione da parte di terzi, su quei fatti o comportamenti personali che, non pubblici per loro natura, non sono destinati alla pubblicità delle persone che essi riguardano. Successivamente negli anni 70’ la Corte di Cassazione con la storica sentenza del 27/5/1975 n.2129, (sentenza Soraya/Scià di Persia) sancisce definitivamente l’esistenza di un autonomo diritto alla riservatezza che consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro, non sono giustificati da interessi pubblici preminenti.
Il legislatore europeo, ha riconosciuto il diritto alla riservatezza nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata dall’Italia nel 1955, all’art. 8 in base al quale “ogni persona ha diritto al rispetto della propria via privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”. Principio ribadito anche nell’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea rubricato appunto “Protezione dei dati di carattere personale”.
In tempi decisamente più recenti, è stato adottato il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, che abroga la direttiva 95/46/CE (cd. direttiva madre sulla protezione dei dati), ed innova il Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), adeguato alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 tramite il Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101.
L’espressione “diritto alla salute” sintetizza una pluralità di diritti quali il diritto all’integrità psico-fisica, a un ambiente salubre, il diritto ad ottenere prestazioni sanitarie, alle cure gratuite per gli indigenti nonché il diritto a non ricevere prestazioni sanitarie, se non quelle previste obbligatoriamente per legge, a tutela oltre che della persona del destinatario, di un interesse pubblico della collettività. Si tratta di un diritto che trova la sua ragion d’essere ancora una volta nell’art. 2 Cost. (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”); è correlata alla previsione di cui all’art. 3 Cost. (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”), oltre che specificamente previsto dall’art. 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
La tutela della salute deve essere intesa nella sua dimensione collettiva-solidaristica .
È evidente che la tutela del bene salute, soprattutto in una situazione eccezionale e straordinaria come quella che stiamo vivendo sembri prevalere su ogni altro diritto. Tuttavia, occorre fare alcune osservazioni.
I dati personali, ossia le informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente o indirettamente, una persona fisica e che possono fornire informazioni sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica, ecc.. sono oggetto di una particolare disciplina contenuta nel menzionato regolamento europeo.
Il trattamento dei dati personali, è improntato ai principi di liceità, correttezza e trasparenza. In particolare il trattamento di dati relativi alla salute può considerarsi lecito solo se avviene in ipotesi specificatamente previste tra cui talune indicate dall’art. 9 del GDPR : h) il trattamento è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità, fatte salve le condizioni e le garanzie di cui al paragrafo 3;
- i) il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale;
- j) il trattamento è necessario a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici.
I dati relativi all’emergenza CoVid-19 sembrerebbero ricadere in queste ipotesi, tuttavia il loro utilizzo deve essere improntato alla massima cautela e prudenza: il titolare del trattamento dovrà garantire l’integrità e la riservatezza dei dati adottando misure appropriate, a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati.
Come accaduto in passato, ritorna la paura del contagio, e in un’epoca in cui le comunicazioni, le notizie viaggiano veloci attraverso i social network, le possibilità di controllarne la diffusione divengono più difficili. Il timore di trovarsi o essersi trovati negli stessi luoghi frequentati da persone contagiate induce i più a rincorrere dati nella speranza di ricostruire tragitti e spostamenti. Una pretesa legittima se c’è in gioco la salute umana, ma gli unici soggetti legittimati a disporre dei dati sensibili per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica e, in particolare, per garantire la protezione dall’emergenza sanitaria a carattere transfrontaliero determinata dalla diffusione del COVID-19 sono quelli specificati nel DECRETO-LEGGE 9 marzo 2020, n. 14 “Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19. (20G00030) (GU Serie Generale n.62 del 09-03-2020)”
Art. 14 Disposizioni sul trattamento dei dati personali nel contesto emergenziale
- Fino al termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica e, in particolare, per garantire la protezione dall’emergenza sanitaria a carattere transfrontaliero determinata dalla diffusione del COVID-19 mediante adeguate misure di profilassi, nonché per assicurare la diagnosi e l’assistenza sanitaria dei contagiati ovvero la gestione emergenziale del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere g), h) e i), e dell’articolo 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, nonché dell’articolo 2-sexies, comma 2, lettere t) e u), del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, i soggetti operanti nel Servizio nazionale di protezione civile, di cui agli articoli 4 e 13 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, e i soggetti attuatori di cui all’articolo 1 dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, nonché gli uffici del Ministero della salute e dell’Istituto Superiore di Sanita’, le strutture pubbliche e private che operano nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e i soggetti deputati a monitorare e a garantire l’esecuzione delle misure disposte ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, anche allo scopo di assicurare la più efficace gestione dei flussi e dell’interscambio di dati personali, possono effettuare trattamenti, ivi inclusa la comunicazione tra loro, dei dati personali, anche relativi agli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679, che risultino necessari all’espletamento delle funzioni attribuitegli nell’ambito dell’emergenza determinata dal diffondersi del COVID-19.
- La comunicazione dei dati personali a soggetti pubblici e privati, diversi da quelli di cui al comma 1, nonché’ la diffusione dei dati personali diversi da quelli di cui agli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679, e’ effettuata, nei casi in cui risulti indispensabile ai fini dello svolgimento delle attività connesse alla gestione dell’emergenza sanitaria in atto.
- I trattamenti di dati personali di cui ai commi 1 e 2 sono effettuati nel rispetto dei principi di cui all’articolo 5 del citato regolamento (UE) 2016/679, adottando misure appropriate a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati.
- Avuto riguardo alla necessita’ di contemperare le esigenze di gestione dell’emergenza sanitaria in atto con quella afferente alla salvaguardia della riservatezza degli interessati, i soggetti di cui al comma 1 possono conferire le autorizzazioni di cui all’articolo
2-quaterdecies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, con modalità semplificate, anche oralmente.
- Nel contesto emergenziale in atto, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del menzionato regolamento (UE) 2016/679, fermo restando quanto disposto dall’articolo 82 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, i soggetti di cui al comma 1 possono omettere l’informativa di cui all’articolo 13 del medesimo regolamento o fornire una informativa semplificata, previa comunicazione orale agli interessati della limitazione.
- Al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, i soggetti di cui al comma 1 adottano misure idonee a ricondurre i trattamenti di dati personali effettuati nel contesto dell’emergenza, all’ambito delle ordinarie competenze e delle regole che disciplinano i trattamenti di dati personali.
La finalità di prevenzione dalla diffusione del Coronavirus deve infatti essere svolta da soggetti che istituzionalmente esercitano tale funzione in modo qualificato, e non in maniera autonoma dai comuni cittadini.
Prima di puntare il dito, magari, è meglio documentarsi!
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